Intervista esclusiva a DUB FX

Benjamin Stanford, in arte Dub Fx è un beatboxer e musicista di Melbourne che durante un lungo percorso di anni di maturazione artistica, è passato dalle performance sulle strade, ai palchi dei più importanti club e festival di tutto il mondo. Il suo talento fuori dal comune è indiscutibile ed è anche composto da una forte grinta e determinazione, energia creativa, positiva e contagiosa che lo spingono ad avventurarsi dall’Australia all’altra parte del mondo, in Europa, come artista di strada dall’età di 19 anni.
L'amore per l'Italia e per le sue origini lucchesi, lo hanno portato ad esibirsi molto spesso nella nostra penisola e, prima di assistere al suo elettrizzante show di fine agosto, a Pordenone, gli abbiamo inviato qualche domanda per Rastasnob.
Chiediamo a DUB FX di raccontarci il suo percorso nella musica partendo dall’inizio.
«Prima di esibirmi in strada suonavo in diverse band in pub e club nei dintorni di Melbourne, ma non avevo mai trovato il suono in cui riconoscermi a pieno, il mio suono. Dover compromettere le mie idee con altri compagni di band ha anche rallentato il mio processo creativo. Ero in band differenti prima di cominciare come DUB FX, facevo il cantante, ero in una band metal, sono stato in una hip hop soul band, ero in una jazz band, facevo jamming insieme a musicisti jazz, cantavo all’interno di house club, con djs e facevo set acustici con altri artisti. Facevo anche reggae, facevo molti generi diversi, ma non mi sentivo identificato in nessuno di questi generi, quindi ho deciso di fare le valigie e venire in Europa e ho cominciato a fare l’artista di strada per conto mio. E’ stato un lunghissimo processo prima di diventare quello che sono ora perché era qualcosa che ancora non esisteva nella strada, non conoscevo nessun altro che facesse beatboxing, hip hop, dubstep e rap allo stesso tempo, non avevo alcun esempio in questo. Non era qualcosa che ho pianificato, bensì qualcosa di spontaneo che è venuto da solo: quando preparavo l’esibizione in strada, le persone si fermavano e compravano il mio cd e a volte, altre persone si fermavano e si mettevano a rappare sul mio pezzo. Non appena ho iniziato ad esibirmi in strada, ho scoperto chi ero e quale era il mio potenziale come artista. Ora che sono pienamente consapevole dei miei limiti, e ad esempio collaborare con altre persone è diventato molto più semplice».
Ci racconti qualcosa che ti ha colpito durante le numerose esibizioni a cielo aperto?
«Mi ricordo di una volta a Manchester, un ragazzino si fermò a rappare ed è stato uno dei più incredibili freestyle in assoluto, e quando le persone passavano pensavano che fosse lui l’artista, e ho pensato “wow” le persone rispondono a cose improvvisate che partono dal cuore e ho iniziato a creare cose più profonde e sentite e ho capito che le persone amano tracce calde, melodiche e ho iniziato a fare questo. Stavo ricercando qualcosa che scaturisse interesse sia in me che nel mio pubblico, così tutte queste tendenze si sono unite insieme fino a diventare una miscela unica, in un certo senso».
Puoi dirci qualcosa in più sullo stile di vita di quando eri solito esibirti in strada?
«Ho vissuto in una Mercedes 613d del 1979, era lunga circa 23 piedi! Dentro avevo una doccia, un sistema di acqua calda, una cucina, 3 letti diversi, un enorme bagagliaio per tutte le mie attrezzature, un serbatoio d’acqua da 400 litri, un pannello solare sul tetto che caricava le mie batterie per il tempo libero e una tenda da sole sul lato che era super resistente! È stato incredibile! Potrei entrare nei festival e sistemare la mia casa in 25 minuti, o dormire nel mezzo di una città ed essere pronto per uscire a prendere il bus al mattino. Sono uscito letteralmente per strada 3-4 volte a settimana in estate e ho venduto tra 40 e 100 cd al giorno. Una volta ho calcolato che in quei primi 6 anni ho venduto circa 200.000 dischi. Personalmente, penso che sia la ragione per cui i miei video di YouTube sono diventati virali perché le persone mi stavano già cercando e stavano già condividendo perché mi avevano visto per strada».
Da quale paese proviene maggiormente il tuo bagaglio artistico e musicale?
«Prima di trasferirmi a Manchester nel 2006, ho vissuto a Lucca, in Toscana per 6 mesi con mia mamma ed ho iniziato ad esibirmi in strada. Suonavo canzoni alla chitarra con basi che avevo creato a casa. La gente in Italia pensava che le mie basi musicali e la scrittura delle canzoni fossero 10 anni avanti, ma quando finalmente sono arrivato nel Regno Unito e ho mostrato a tutti la mia musica, mi hanno detto che ero indietro di 10 anni! Quindi ho ascoltato gli artisti che suonavano in giro per Manchester sul genere grime, garage, drum & bass, dubstep, jungle, dub. Ero già a posto riguardo gli MC sulla musica house, dalla mia prima esperienza a Melbourne, e avevo appena comprato questa nuova loop-station. Mi sono svegliato un giorno e ho deciso di andare nel centro di Manchester e provare a fare l’intero spettacolo con solo il mio microfono e la mia loop-station creando tutto dal vivo sul posto, tramite beatboxing (stavo ancora imparando le basi del beatbox). È iniziato piuttosto male, ma poi sono migliorato quando le persone si avvicinavano e mi facevano richieste specifiche su cosa avrei dovuto suonare. Provavo a fare tutto quello che mi chiedevano in modo che poi riuscisse al meglio il loro rap o che potessero cantare su di esso. Di solito erano gli adolescenti che chiedevano i ritmi grime, ma a volte gli MC professionisti si presentavano e stravolgevano in modo sbalorditivo i flussi di ciò che sarebbe successo in quel momento. Perfino i vecchi pazzi venivano a cantare. Ho imparato così tanto sulla mia arte, dalle esibizioni di strada nel Regno Unito. Scherzo spesso sul fatto che non sono nato in Australia, infatti dico DUB FX è nato a Manchester. Da lì ho iniziato a suonare nelle serate e nei festival, nei club, inviavo e-mail ai festival e chiedevo un biglietto gratuito in cambio dell’esibizione live e li raggiungevo con il mio set trasportato in autobus».
Sappiamo che parli bene italiano in quanto toscano di origini paterne, che rapporto hai con l’Italia?
«Sono cresciuto a Lucca e ad essere sincero mentre vivevo lì e andavo a scuola, all’età di 9 anni, l’ho letteralmente odiata. Ero abituato alla cultura australiana ma avevo anche vissuto un’esperienza traumatica perché i miei genitori si erano lasciati ed erano nel bel mezzo di un’enorme battaglia di custodia cautelare per l’affido di mia sorella minore in Australia, e me. Le cose sono diventate complicate e drammatiche in un certo senso, e poi all’improvviso mi sono trovato in un posto nuovo, cercando di imparare una nuova lingua mentre mia mamma stava trovando difficoltà a stabilirsi e ricostruire il nostro percorso. In tutto ho vissuto in Italia per 3 anni, e poi sono tornato a vivere in Australia con mio padre. Ogni anno volavo di nuovo a Lucca e passavo il tempo con mia mamma durante le vacanze estive. Nel corso degli anni mi sono innamorato dell’Italia e ho potuto apprezzarla pienamente. Adesso passo molto tempo con gli italiani, la maggior parte del mio team è italiano. Sono davvero molto grato di essere venuto in Italia tanti anni fa e di conoscerne la lingua e la cultura. Mi ha dato un enorme vantaggio perché sono stato in grado di vivere due società completamente diverse, vedere le differenze e comprendere in senso globale, un po’ più a fondo».
Che ruolo gioca l’Australia nella tua musica?
«È una domanda difficile a cui rispondere. Il 99% dei miei fan è all’estero. Pensavo che la mia musica non potesse piacere fino a quando ho iniziato a viaggiare per il mondo, e ho capito che era solo Triple J che non apprezzava la mia musica. Fa schifo che una stazione radio possa determinare se un progetto possa ottenere riconoscimento o meno. Mi piacerebbe visitare il mio paese, ma questa non è la mano che mi è stata offerta».
Arianna Caracciolo